La liquidazione giudiziale: l’ultima spiaggia della crisi d’impresa
Non la scelta primaria, ma l’extrema ratio. La liquidazione giudiziale, l’istituto che ha sostituito il “vecchio” fallimento, ha una natura residuale: è il male necessario quando non è percorribile la strada degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa.
Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza il legislatore ha infatti preso una grande decisione: liberare il sistema dal gioco dei vecchi canoni della legge fallimentare. La storia non era mai a lieto fine, terminava con il sacrificio dell’azienda e la sua eliminazione dal mercato a seguito della liquidazione efficiente del patrimonio del debitore fallito e della distribuzione del massimo attivo realizzabile ai creditori.
Ora l’insolvenza del debitore quale patologia e la liquidazione come unica soluzione sono visioni che appartengono definitivamente al passato. L’obiettivo è dare alle imprese, soggette alle oscillazioni del mercato e all’influenza delle crisi globali, una seconda possibilità offrendo mezzi alternativi per superare la situazione di disequilibrio economico, preservando la continuità aziendale e i posti di lavoro dei dipendenti.
Questo significa che gli interessi dei creditori vengono messi in secondo piano rispetto a quelli dell’imprenditore/debitore?
Assolutamente no. La giurisprudenza è concorde nell’affermare che la liquidazione è l’opzione da percorrere se è l’unica in grando di garantire la migliore soddisfazione dei creditori. Quindi la liquidazione giudiziale è l’ultima spiaggia, ma diventa inevitabile se l’impresa è insolvente e non più in grado di essere competitiva sul mercato.
Questo tema ed altri approfondimenti sono stati trattati nell’incontro numero nove del Corso abilitante per l’iscrizione al Nuovo Albo dei Gestori della Crisi di Impresa, promosso da Gruppo Avacos.
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